La valutazione del danno psicologico rappresenta uno tra i problemi più complessi che la psicologia giuridica si trovi oggi ad affrontare.
Se le prime sentenze tendevano a risarcire la persona danneggiata solo delle spese mediche sostenute per riparare alle conseguenze subite, e del mancato guadagno legato alla propria condizione lavorativa, oggi chi subisce un danno biologico subisce una lesione alla sua integrità psicofisica e le limitazioni sopravvenute alla sua vita sono intese sia nel senso strettamente organico che in quello di relazione.
Introducendo il danno biologico così definito, la giurisprudenza arriva ad ammettere la possibilità di un danno prettamente psicologico.
Se le prime definizioni di danno psicologico si riferiscono ad una modificazione permanente dell'equilibrio psicologico della persona che ha vissuto un determinato evento lesivo, negli anni successivi si è affermata la tendenza a definire il danno psicologico solo nei casi in cui le conseguenze prodotte nella persona possono essere assimilabili ad una patologia psichica.
Una risposta patologica non dipende solo dalla gravità dell'evento a cui si è stati sottoposti, ma da altri numerosi fattori, tra cui le condizioni psichiche della persona al momento del verificarsi dell'evento, il modo del tutto personale di spiegarsi l'evento all'interno della propria biografia, il significato personale che la persona attribuisce all'evento.
In generale, quindi, potremmo dire che il danno psichico non si identifica in sentimenti di sofferenza, legati a eventi drammatici, ma richiede la presenza di una risposta patologica dell'individuo all'evento lesivo contingente.
Per la valutazione e la misurazione del danno psicologico lo psicologo si avvale di specifici strumenti psicologici che gli consentono di formulare una diagnosi psicologica, e di smascherare eventuali tentativi, consci e inconsci, di simulazione, spesso presenti in sede di valutazione del danno psicologico.